Mostra sul Futurismo, ancora critiche dalla stampa internazionale

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La Mostra sul Futurismo continua a far parlare di sé e purtroppo ancora male. L’evento sembra essere nato sotto una cattiva stella. Organizzata dalla GNAMC (Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea), resterà a disposizione dei visitatori fino al prossimo 27 aprile.
Alla Mostra sono contestate la direzione ad personam di Renata Cristina Mazzantini, non aver contrattualizzato i curatori e il comitato scientifico dopo 8 mesi di lavoro, l’aver ugualmente usato il loro operato, l’omissione del contesto politico in cui si sviluppò il movimento Futurista, fondato in Italia dal poeta Filippo Tommaso Marinetti nel 1909. (Mostra sul Futurismo, opere predatate e accordi con i collezionisti)
Ulteriore motivo di polemica la Mostra sul Futurismo lo ha sollevato per la presenza di didascalie come presentazione delle opere palesemente e inspiegabilmente antiscientifiche, che sembrano avere l’unica spiegazione nel favore della direzione verso amici, galleristi e intermediari. Secondo indiscrezioni una delle collezioniste, amiche della Mazzantini, avrebbe spinto per la defenestrazione del co-curatore Alberto Dambruoso.
Tale modus operandi da parte della direttrice del GNAMC è suggerito dalla discordanza rispetto ai registri di prestito in possesso dei curatori, con relativa ipotesi di “comportamento ingannevole” nei confronti del pubblico pagante, nonché di enormi danni di immagine e scientifici e ipotesi di “falso ideologico”.
Ciò che emerge da tutto ciò, sono i metodi arbitrari e sopraffattivi della direttrice che aveva il potere di veto sulle opere già richieste in prestito dal curatore e dalla Direzione Generale Musei e si sarebbe sentita autorizzata ad adottare simili sistemi in virtù del potere che la politica le conferisce.
Le critiche della rivista “Bilan”
Alle critiche della stampa internazionale, dalle quali non sono stati esenti giornali prestigiosi quali il New York Times, El Pais, Le Figaro e diversi autorevoli magazine del settore, si sono aggiunte quelle della importante rivista “Bilan”, che in un lungo articolo a firma Etienne Dumont, si è prodotta, in una ferocissima quanto realistica analisi sulle lacune della mostra.
Dumont nella sua analisi, accusa la mostra organizzata alla GNAMC di essere poco centrata su Marinetti e il movimento Futurista”
“Boum bada boum! Il 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti pubblica il suo manifesto del
futurismo su Le Figaro. Avrete notato che l’italiano lo fa a Parigi, una capitale considerata più
moderna di Roma, a capo, per lui, di un Paese arretrato e passatista. Questo testo provocatorio, cui
seguiranno molte altre “bombe”, segna diverse rotture. Innanzitutto, lancia un movimento per il
quale esiste solo il futuro.‘Del passato facciamo piazza pulita’, si sarebbe detto in bocca a un uomo politicamente più a sinistra. Il futurismo, inoltre, deve rispondere a un programma ideologico, come farà più tardi il surrealismo. Una caratteristica che non apparteneva né all’impressionismo, né al fauvismo, né al cubismo. Va detto che questo eccitato Marinetti (oggi sembrerebbe costantemente sotto anfetamine) intende cambiare l’intera vita, dall’architettura alla poesia, passando per il cinema e la musica.
La santa trinità della sua modernità è composta dalla velocità, dal rumore e da una sorta di furia. Il teorico arriva persino a invocare la guerra, “igiene del mondo”. E la otterrà, anche se il
giovane regno entrerà nella Prima Guerra Mondiale solo nel 1915. E senza grande successo…”
Secondo la rivista, la GNAMC ospiterebbe una manifestazione mammut, in cui sono palesi interferenze politiche e nella quale vi sarebbe la glorificazione del fascismo:
“Il futurismo è stato celebrato da molto tempo con prudenza in Italia, come se fosse stato
cloroformizzato dalla storia. Nel 1986, Pontus Hulten (il creatore del Centre Pompidou) presentò
Futurismo futurismi a Palazzo Grassi a Venezia, evento sostenuto dalla FIAT per lanciare la sua
politica culturale di prestigio.Questa manifestazione è stata poi completata da numerose proposte sia di tipo generalista che monografico. Rimaneva ogni volta la dolorosa questione del tempo di arresto. Bisognava interrompere il percorso nel 1918, alla fine della guerra, nel 1922, con l’arrivo dei fascisti al potere, o addirittura oltre? Il futurismo, come il surrealismo, ha attraversato diverse generazioni. E senza affievolirsi, contrariamente al movimento lanciato da André Breton.
L’aerofuturismo degli anni ’39 e’40 appare oggi tanto creativo quanto le tele iniziali prima del 1914. Solo che Marinetti ha fatto più che scendere a compromessi con Mussolini. Gli ha fatto da zerbino. Il suo
discorso anticipava, in modo caotico, quello di un Duce che in realtà preferiva un’arte più classica e
ordinata. Marinetti morirà, giustamente, in un’Italia devastata nel 1944, dopo essersi offerto invano
come volontario a 65 anni per combattere al fianco dei tedeschi in Russia.Tutto ciò ha un po’ il sapore dello zolfo… Eppure, all’epoca ministro della Cultura del governo
Meloni, Gennaro Sangiuliano desiderava una grande retrospettiva futurista. Doveva svolgersi, per
ragioni di comodità, alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, un gigantesco edificio in
marmo costruito nel 1911 per un’Esposizione internazionale ai margini della città.Direttrice dell’istituzione (le cui collezioni erano state rimescolate senza grande talento dalla sua predecessora contemporaneista Cristiana Collu), Renata Cristina Mazzantini avrebbe accolto una manifestazione mastodontica concepita da Gabriele Simongini, giornalista di Il Tempo. Tutto è rapidamente degenerato. C’erano ingerenze politiche. Il fascismo sarebbe stato glorificato indirettamente?
Alcuni prestiti venivano rifiutati. Sembrava chiaro che alcuni capolavori non sarebbero tornati
dall’America. E che dire dell’annoso problema dei falsi… Insomma, polemiche di cui i nostri vicini
sono specialisti. Si è parlato di più dell’esposizione prima della sua apertura che dopo, mentre
l’attuale ministro in carica si chiama Alessandro Giuli.”
“Bilan” bocciando la mostra, sottolinea anche che il visitatore sente abbastanza rapidamente che dovrà considerare ogni opera separatamente piuttosto che trarre la lezione da un insieme sapientemente ordinato per lui :
“La mostra ha comunque aperto il 3 dicembre scorso. Critiche contrastanti. Pubblico però presente,
anche se la visita non è proprio una ressa. Il tempo del futurismo infatti disorienta per le sue
dimensioni. Non solo le sale sono gigantesche, mentre le tele del movimento rimangono piuttosto
piccole, ma le stesse sale (26 in tutto) sembrano non finire mai di susseguirsi e assomigliarsi.Ci sono circa 400 opere in tutto, oltre agli indispensabili gadget. Un aereo. Auto ‘epoca. Moto.
Soprattutto dispositivi sonori, dal telefono alla radio, con l’ingegnere Guglielmo Marconi a fare da
contraltare a Marinetti. Alcune sculture fungono da contorno, anche se la statuaria, insieme a
cinema, architettura, moda e fotografia, rimane il parente povero. Da qui squilibri, incoerenze e a
volte effetti di ripetizione.Il percorso non appare né storico, né davvero tematico e sicuramente non personale. Le opere dello
stesso artista possono trovarsi un po’ ovunque, senza che ciò abbia un senso. La documentazione
d’epoca, sparsa nelle vetrine, non chiarisce nulla. Di tanto in tanto emerge un’idea.Un’analogia. Un collegamento. C’è un lampo, verrebbe da dire. Tuttavia, come esposizione, ci troviamo di fronte a un fallimento, ulteriormente aggravato da altri spazi dedicati ai prolungamenti del futurismo dopo il 1945, con pittori tanto diversi quanto Alberto Burri ed Emilio Vedova.
È severo. Eppure, delle meraviglie ci sono, anche se a volte sembrano pepite in una palude. La
maggior parte dei dipinti storici proviene da istituzioni e collezioni private italiane (pochissimi
prestiti stranieri), con magnifici Umberto Boccioni, importanti Gino Severini e bei Luigi Russolo.
Ho notato i Prampolini, i Depero e i Gerardo Dottori per gli anni ’20 e ’30. L’aerofuturismo del
1935-1945 è ben rappresentato da Alfredo Gauro Ambrosi e Tullio Crali. Ma ciò che mi ha colpito
di più è la quantità di nomi sconosciuti.Il futurismo ha davvero avuto la natura di una nebulosa, ospitando (come del resto il surrealismo)
sia sostenitori dell’astrazione sia nostalgici della figurazione. La maggior parte di queste opere
proviene dalle riserve del museo in cui ci troviamo, che normalmente offre un allestimento
minimalista.Chi ha mai sentito parlare di Gino Galli, di Romolo Romani, di Alessandro Bruschetti
o di Ugo Gianattasio? Sono dei piccoli maestri. Lo ammetto. Ma brillano singolarmente all’interno
della costellazione attuale, dove ciascuno si arrangia come può, senza la minima messa in scena
unificatrice.”
L’amara conclusione di Etienne Dumont è che la mostra romana dedicata al Futurismo non abbia saputo creare la sua grande manifestazione popolare e che le cose migliori siano state emarginate o poco messe in risalto :
“La conseguenza di questa inconsistenza è che Il tempo del futurismo si rivolge paradossalmente agli
specialisti. A chi sa tessere collegamenti. A chi non si mostra deluso nel non ritrovare una
determinata opera, scoprendo invece degli sconosciuti.A chi non ha paura di avere male ai piedi, visto che la Galleria si trova fuori mano rispetto alla Villa Borghese. Roma, a mio avviso, non è riuscita a creare la sua grande manifestazione popolare. Il meglio si trova spesso ai margini.”
Una pesantissima stroncatura insomma, arrivata da una rivista specializzata, che per fortuna, se così possiamo definirla, si sofferma sugli aspetti artistici del Movimento e su quanto i medesimi siano poco evidenziati. Se Dumont fosse voluto andare a fondo sui metodi sopraffattivi della Mazzantini e sui criteri con i quali sono stati utilizzati i
soldi pubblici, in totale contrapposizione a quella che dovrebbe essere la trasparenza sulle spese e la lealtà nei confronti dei contribuenti, il quadro sarebbe stato ancor più desolante.
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