Bari, giro di vite sulle “nonne della pasta” è la fine di una tradizione cittadina
Le autorità di Bari stanno prendendo provvedimenti severi nei confronti delle cosiddette “nonne della pasta”, accusate di spacciare pasta prodotta in fabbrica per fatta a mano.
Gli anziani pastai della città sono stati accusati di aver profanato il sacro atto di preparare le orecchiette, dopo che scatole di cartone bianco, che un tempo contenevano pasta industriale, sono state trovate in cassonetti alla periferia della città.
Le innumerevoli nonne della pasta della città attraggono ogni anno migliaia di turisti e sono state menzionate addirittura in uno dei libri di cucina di Jamie Oliver, celebre chef britannico.
Un produttore di pasta ha dichiarato: “Alcune donne hanno iniziato a vendere il prodotto industriale.
Non avrebbero dovuto farlo e ora ci ha dato una cattiva fama. Mia nonna mi ha insegnato a fare le orecchiette quando avevo cinque anni. Se sei di qui, se vieni da questa tradizione, allora devi essere onesto, trasparente.”
In risposta a ciò, le autorità stanno reprimendo questa pratica introducendo delle regole per garantire che la pasta venduta sia legale.
Verrà introdotto un marchio di autenticità per ritenere responsabili i venditori di prodotti falsi.
Pietro Petruzzelli, consigliere comunale con delega allo sviluppo economico e al turismo, ha affermato: “Si tratta di piccoli cambiamenti e non costeranno molto alle signore adottarli.
Vogliamo mantenere la tradizione della preparazione delle orecchiette, ma allo stesso tempo fare in modo che vengano rispettate le regole”.
Per poter vendere la pasta, i pastai dovranno frequentare un corso di formazione di quattro ore e saranno sottoposti a regolari controlli igienico-sanitari nelle loro abitazioni.
Dovranno inoltre indossare retine per capelli e guanti di gomma e investire in nuovi frigoriferi per conservare i prodotti di pasta separati dai loro frigoriferi.
Oltre a ciò, ai pastai non sarà più consentito di preparare le orecchiette all’aperto, dove polvere, sporcizia e mosche potrebbero potenzialmente contaminare il cibo.
Dovranno invece rifugiarsi in cucine minuscole e anguste, lontano da tutti gli altri.
Questa particolare regola non è stata accolta con favore da parte di alcuni produttori di pasta dell’attuale generazione.
La scorsa settimana un produttore ha dichiarato durante un’assemblea cittadina: “Non possiamo lavorare al chiuso perché le nostre cucine sono troppo piccole.
In estate moriremo di caldo. Dobbiamo lavorare all’aperto.”
Quest’estate le temperature in città hanno raggiunto la massima temperatura di 42 °C.
Un altro produttore di pasta ha affermato: “Se continuano con tutte queste richieste, insistendo affinché ci conformiamo alle normative, farò le valigie e smetterò di lavorare”.
La questione è diventata così controversa che perfino la Chiesa cattolica è intervenuta per mediare.
Don Franco Lanzolla, parroco della cattedrale romanica di San Sabino, è intervenuto a svolgere il ruolo di mediatore.
Ha dichiarato ai presenti che la posta in gioco è molto più alta della sicurezza alimentare e delle cattive condizioni di lavoro.
Ha detto: “Qui c’è molta disoccupazione. Senza lavoro, ci sono molti giovani che possono essere tentati dalla criminalità. Ma se c’è lavoro, puoi dare loro speranza, un futuro, autostima”.