Bullismo e violenza, quando gli adolescenti rifiutano di guardare oltre se stessi
Non siamo ancora riusciti a dare un senso al suicidio di Lorenzo, il quindicenne di Senigallia che ha preferito morire piuttosto che continuare a subire gli atti di bullismo di cui era vittima e ci arriva un’altra tragica notizia.
Una ragazza di quindici anni di Enna, vittima di revenge porn, ha deciso di porre fine alla sua giovane vita.
Non scendiamo nei dettagli, non sono rilevanti; quello su cui bisogna decisamente soffermarsi è capire cosa stia succedendo.
I due ragazzi sono la punta dell’iceberg di un malessere fin troppo diffuso che ci riportano all’adolescenza come un periodo difficile, certo, ma distante anni luce da quello in cui la linfa della vita dovrebbe scorrere a velocità raddoppiata nelle vene.
In questo tempo in cui tutto è ridotto a uno schermo, sembra che la vita umana abbia perso il suo peso.
Gli adolescenti, costantemente connessi eppure terribilmente isolati, sembrano aver dimenticato il valore della vita e della morte, scivolando in un’indifferenza che non lascia spazio alla compassione.
La sofferenza, la perdita, la morte stessa sono diventate immagini fugaci, titoli che scorrono e scompaiono come se fossero poco più di un fastidio temporaneo, degni giusto di uno scroll distratto.
Questa perdita di sensibilità non è una colpa esterna. È il risultato di una cultura che incoraggia il distacco e premia l’egoismo, che misura il valore delle persone in base a quanto possono mostrare, accumulare, vantare.
Così, una tragedia, una vita spezzata, diventano notizie da scorrere velocemente, sfondi drammatici per la propria routine.
I giovani sono testimoni silenziosi di un mondo in cui l’individualismo trionfa e la vita altrui sembra valere solo se riesce a intrattenere o a indignare per un istante.
Oggi, il dolore e la morte sono scene da consumare, spettacoli da cui estrarre poco o nulla di profondo. Il rispetto per la vita umana si è trasformato in una sorta di curiosità morbosa e disinteressata, una fascinazione superficiale che dura il tempo di un clic.
In questa corsa verso il nulla, la compassione e l’empatia si dissolvono, lasciando spazio a un senso di vuoto che pochi riconoscono e ancor meno tentano di riempire.
I giovani non sono esenti da colpe. È facile attribuire la causa alla tecnologia, ai social media o al ritmo incalzante della modernità, ma c’è una scelta implicita nell’indifferenza, un rifiuto di guardare oltre se stessi.
C’è un certo cinismo nel modo in cui le vite si trasformano in mere notizie; c’è una freddezza nell’incapacità di comprendere il valore profondo di ciò che ci circonda.
Se questa tendenza continuerà, si rischia di costruire una società priva di empatia, dove il valore di un essere umano è ridotto a quello che può offrire in termini di intrattenimento, di approvazione sociale o di profitto.
È necessario che tutti ci si fermi e in particolare i ragazzi si guardino allo specchio e si chiedano se questo è il mondo che vogliono, se davvero vale la pena di sacrificare il valore della vita umana sull’altare del proprio ego.
Che trovino il coraggio di rallentare, di guardarsi intorno e di vedere non solo la propria immagine, ma quella di un’umanità condivisa, dove ogni vita vale quanto un intero universo, e dove il silenzio, a volte, racconta più di mille parole.
In un mondo che si è dimenticato cosa significa rispettare l’essenza della vita, l’unico atto veramente rivoluzionario è riscoprire il valore dell’altro e di ciò che rappresenta.