Cecilia Sala ospite di Fabio Fazio a Che Tempo che Fa, ha raccontato i 21 giorni della sua detenzione nel carcere di massima sicurezza di Evin a Teheran, nonostante lei stessa abbia ammesso che il pensiero le impedisca ancora di avere un regolare riposo e le provochi ansia.
La giornalista italiana a ridosso della sua liberazione aveva già raccontato alcuni aspetti della sua prigionia in una puntata del suo podcast, Stories. In quella occasione la signora Sala aveva sottolineato la sua volontà di voler voltare pagina e lasciarsi alle spalle la brutta avventura che la aveva vista protagonista.
La decisione di partecipare a Che Tempo che Fa non deve essere stata facile per la giornalista. A lei va il merito di aver raccontato tutto nella sua drammatica crudezza senza lasciarsi andare a spettacolarizzazioni, sottolineando di essere stata fortunata e soprattutto di essere sempre stata consapevole che ci sarebbe stato un “dopo”, non immaginava però che sarebbe arrivato così velocemente.
Un sistema carcerario che fa leva sulla pressione psicologica
Cecilia Sala ha raccontato di aver sperimentato in 21 giorni di detenzione, le atrocità di un sistema carcerario che fa leva sulla pressione psicologica per estorcere informazioni a coloro che per qualsiasi motivo vengano arrestati. Ventun giorni, quelli della Sala, trascorsi in una cella due metri per tre, con solo due coperte a proteggerla dal freddo, senza un letto e tantomeno un cuscino.
Tutto ciò senza occhiali né lenti a contatto, così come prevede il carcere duro iraniano. Tra lei e il mondo esterno, una benda sugli occhi e una porta blindata con una feritoia che, le poche volte che veniva aperta era foriera delle urla di disperazione delle altre detenute, compresi tentativi di suicidio.
“In una cella accanto c’era una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere più forte che poteva la testa contro la porta” -ha raccontato la Sala- “urla e conati di vomito erano i suoni che sentivo”
Nel carcere di Evin dove è stata reclusa la Sala, sono recluse centinaia di donne per la maggior parte innocenti, tra loro l’attivista e premio Nobel per la pace Narges Mohammadi.
Interrogatori quotidiani, l’ultimo durato 10 ore
La Sala ha raccontato di essere stata sottoposta a interrogatori interminabili, l’ultimo è durato dieci ore, sedute in cui il detenuto viene anche premiato con una sigaretta, un dattero o anche solo qualche minuto di conversazione apparentemente più rilassata. La giornalista è stata interrogata da un giudice che parlava un perfetto inglese e che conosceva molto bene l’Italia e le sue usanze.
“Mi è stato chiesto che tipo di impasto preferissi per la pizza, domande che solo chi è introdotto o conosce bene la cultura italiana può fare. Dopo averti messa un po’ a tuo agio cercano di spezzarti con brutte notizie o domande pesanti, ho temuto per la tenuta psicologica.”
In cella la luce era accesa notte e giorno, era sempre bendata, anche per andare in bagno. La Sala ha detto di non aver mai subito violenza, non è mai stata sfiorata, gli uomini mussulmani non possono toccare le donne. Durante gli spostamenti a mantenere le distanze tra lei e i carcerieri c’era un bastone tenuto per le estremità per evitare qualsiasi contatto.
La giornalista ha sempre avuto paura della violenza mentale che stava subendo è stata una delle poche cose che è riuscita a confessare al compagno Daniele Ranieri durante una delle poche chiamate concessele: “Avevo paura di perdere il controllo. Ho iniziato a contare le dita della mano e a leggere a ripetizione gli ingredienti del pane. Un modo come un altro per non impazzire.”
Tra le preoccupazioni maggiori, la crisi in Medio Oriente e il timore che Trump potesse annunciare qualche ritorsione nei confronti dell’Iran, in quel caso la posizione della giornalista si sarebbe aggravata diventando molto difficile :
“Era un conto alla rovescia che mi spaventava tantissimo. Se avesse detto pubblicamente che voleva ritorsioni contro qualche iraniano la mia situazione poteva complicarmi moltissimo. Ho capito di essere un ostaggio quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l’unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione”.
La famiglia della Sala non ha parlato con Elon Musk
Contrariamente a quanto circolato nei giorni scorsi, Cecilia Sala ha precisato che nessuno della sua famiglia ha parlato con Elon Musk:
“Nessuno della mia famiglia ha mai parlato con Elon Musk. La mia famiglia ha provato a contattare chiunque in quei momenti e l’unica priorità, dal loro punto di vista, era liberarmi. Il mio compagno ha contatto il referente, Andrea Stroppa, chiedendogli se potesse far arrivare la notizia a Musk, che qualche mese prima aveva incontrato l’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, un evento storico dopo la crisi del ’79. Gli ha chiesto se potesse fare arrivare la notizia e l’unica risposta ricevuta è stata ‘informato’ “
L’arrivo della compagna di cella, la consegna di un libro e la liberazione
A interrompere giorni di isolamento è arrivata una compagna di cella insieme a un libro di Murakami, che hanno dato alla Sala la convinzione che la prigionia sarebbe durata a lungo. Quando la mattina dell’8 gennaio è arrivata la notizia che sarebbe stata rilasciata quel giorno, non ci ha creduto, ma ha temuto potesse essere consegnata ai pasdaran, il corpo delle guardie della rivoluzione islamica:
“Pensavo che le persone che mi erano venute a prendere fossero i pasdaran e non l’intelligence iraniana. Credevo mi stessero portando in una delle loro basi militari, quando poi all’aeroporto militare mi hanno sbendata e ho visto una faccia italianissima con un abito grigio ho fatto il sorriso più grande della mia vita. Poche ore dopo ero a Roma”.
Una liberazione lampo che non si ricordava dagli anni ’80
Il ritorno in Italia è stato immortalato in una foto all’aeroporto di Ciampino che lei stessa ha definito la foto più bella della sua vita, tra le braccia del compagno e poi dei suoi genitori commossi. La giornalista ha detto che non tornerà più in Iran, dove negli anni ha raccolto le storie di tantissime donne, finché ci sarà la Repubblica Islamica. Adesso le resta il senso di colpa di chi è sopravvissuto, di chi ce l’ha fatta, ma è fiduciosa che un giorno potrà superarlo.