Cecilia Sala, la solidarietà di Alessia Piperno e la “diplomazia degli ostaggi”

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L’arresto di Cecilia Sala in Iran, il 19 dicembre, non ha ancora una motivazione.
La giornalista italiana si trova in isolamento nel carcere di Evin, tristemente noto come uno dei luoghi più oppressivi in Iran.
Situato ai piedi dei monti Elburz, alla periferia di Teheran, è spesso descritto come un “carcere per intellettuali”, poiché vi sono rinchiusi giornalisti, attivisti politici e accademici.
Tuttavia, Evin è anche un simbolo di repressione brutale.
Le condizioni nel carcere sono estremamente dure: le celle sono spesso sovraffollate, costringendo i detenuti a vivere in spazi angusti e poco igienici.
La qualità del cibo è scarsa e l’accesso all’acqua potabile è limitato e sono state documentate numerose testimonianze di abusi fisici, minacce e torture psicologiche per estorcere confessioni.
I detenuti spesso non hanno accesso a un processo equo e trasparente. Molti sono trattenuti per mesi senza accuse formali ed eventuali cure mediche sono inadeguate.
Il caso di Cecilia Sala ha riportato alla mente quello di Alessia Piperno, la giovane viaggiatrice e blogger italiana arrestata in Iran nel settembre 2022.
Alessia, appassionata esploratrice e viaggiatrice indipendente, si trovava in Iran per scoprire la cultura locale.
È stata arrestata a Teheran in concomitanza con le proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini, la giovane iraniana deceduta sotto custodia della polizia morale.
Alessia è stata accusata di presunti crimini legati alle proteste, nonostante fosse evidente che si trovava lì come turista e non come attivista politica.
La sua prigionia è durata circa 45 giorni, durante i quali ha vissuto esperienze che hanno segnato profondamente la sua vita.
Ed è proprio in virtù di questa esperienza che Alessia Piperno ha voluto rivolgere un pensiero a Cecilia ed alla sua famiglia “So cosa vuol dire stare in una cella da soli – afferma -. Abbraccio i suoi genitori, immagino il dolore che è come quello che hanno provato i miei”.
La Piperno, intervistata da La Stampa, ha, però, evidenziato una differenza di fondo tra il suo caso e quello della giornalista.
Nel suo caso, infatti, il viaggio in Iran era un “semplice viaggio”, mentre la Sala aveva un visto giornalistico di 8 giorni: “Le autorità di Teheran, che in genere rifiutano i visti ai giornalisti occidentali, sapevano benissimo che lei è una reporter. Non sappiamo se Cecilia è nel settore 209, il peggiore e lo stesso dove sono stata detenuta io, oppure il 2A”.
La blogger sostiene, pensando alla reticenza con cui i giornalisti vengono lasciati entrare in Iran, che nel caso di Cecilia si tratti di una sorta di “trappola”.
Non si può escludere, infatti, il collegamento tra l’arresto della Sala e quello avvenuto pochi giorni prima, di Mohammad Abedini Najafabadi all’aeroporto di Milano Malpensa.
Abedini, cittadino iraniano di 38 anni, è accusato dalle autorità statunitensi di aver fornito componenti elettronici per la fabbricazione di droni utilizzati dal Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica.
L’arresto della nostra connazionale potrebbe, dunque, essere ascritto a quella “diplomazia degli ostaggi” che ha permesso all’Iran, aduso a questa pratica, di usare i prigionieri come merce di scambio per ottenere favori o il rilascio di cittadini iraniani detenuti all’estero in situazioni di sanzioni economiche o isolamento diplomatico.
Clément Therme, ricercatore associato presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) e specialista delle relazioni internazionali dell’Iran, ha recentemente pubblicato un rapporto intitolato “La diplomatie des otages de Téhéran. Le cas des Européens détenus en Iran” attraverso l’Institut Français des Relations Internationales (Ifri).
In questo studio, Therme analizza la pratica della “diplomazia degli ostaggi” da parte della Repubblica Islamica dell’Iran, una strategia che utilizza la detenzione di cittadini occidentali, binationali o residenti all’estero come leva nelle negoziazioni diplomatiche.
Questa tattica, che ha radici nella crisi degli ostaggi del 1979, mira a ottenere concessioni politiche, economiche o diplomatiche, soprattutto in un contesto di sanzioni economiche e isolamento internazionale.
Therme sottolinea che, nonostante gli sforzi europei per contrastare questa pratica attraverso sanzioni mirate contro i funzionari iraniani coinvolti, non sono stati ottenuti progressi significativi.
La detenzione arbitraria di cittadini europei in Iran ha esacerbato le tensioni diplomatiche, rendendo le negoziazioni più complesse e contribuendo alla percezione dell’Iran come un attore diplomatico inaffidabile.
Il rapporto evidenzia anche come questa strategia si stia ritorcendo contro lo stesso Iran, destinato a rimanere “diplomaticamente inaffidabile” a causa di tali condotte.
Therme conclude che, finché questa pratica persisterà, la Repubblica Islamica continuerà a essere vista negativamente dalle nazioni europee.