“Ci sono altri 200 femminicidi” nelle parole del padre di Turetta, il femminicidio ridotto a “momento di debolezza”
Sono state pubblicate oggi, sui quotidiani, le trascrizioni delle intercettazioni dei colloqui privati tra Filippo Turetta ed i suoi genitori.
Il colloquio risale al 3 dicembre, quando Nicola Turetta e la moglie Elisabetta Martini incontrano per la prima volta, dal giorno dell’omicidio di Giulia Cecchettin, il 10 novembre.
Filippo è in carcere dal 25 novembre ed i genitori hanno vissuto settimane terribili, immaginando che il figlio possa essersi suicidato.
Turetta però ha raccontato agli inquirenti di non esserci riuscito, di non aver avuto il coraggio.
Partiamo da un presupposto: per quello che ci riguarda si tratta di un’inutile violazione della privacy che nulla aggiunge o toglie ai fatti.
Filippo Turetta ha confessato l’omicidio di Giulia. Ne ha raccontato i dettagli: lo ha premeditato come ha premeditato la fuga.
Se non bastasse, tutte le prove sono contro di lui.
Eppure leggere le frasi rivolte da Nicola Turetta al figlio ha fatto male.
“Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista, devi farti forza. Non sei l’unico, ci sono stati parecchi altri. Però ti devi laureare”.
E ancora
“Ci sono altri 200 femminicidi! Poi avrai i permessi per uscire, per andare al lavoro, la libertà condizionale. Non sei stato te, non ti devi dare colpe perché tu non potevi controllarti”.
Si tratta del maldestro tentativo di un padre di alleggerire la tensione e provare a risollevare il figlio psicologicamente devastato, questo l’unico modo per a dare un senso a quelle parole.
Eppure, quella sensazione che sia tutto maledettamente sbagliato, non riesce a placarsi.
Nessuno si sarebbe aspettato dure parole di condanna, un genitore ama a prescindere, ma come ci si può dimenticare che dall’altra parte c’è un padre che piange la sua bambina?
Giulia, suo malgrado, è diventata il simbolo di tutte le donne che, ormai pressoché quotidianamente, perdono la vita per mano di chi ha detto di amarle.
Donne di cui si parla quando la tragedia accade, ma che il giorno dopo tornano nell’oblio: data la notizia, con tanto di titolo sensazionalistico e l’immancabile “non succeda più”, semplicemente diventano l’ennesimo nome di una lista che non ha fine.
Ecco, espressioni come “ci sono altri 200 femminicidi” o “non sei l’unico” o peggio “hai avuto un momento di debolezza”, cercando di ridimensionare l’accaduto per dargli quasi una connotazione di “normalità” da il senso di come Giulia sia l’emblema di un club poco esclusivo e molto poco elitario, a cui continueranno, ahinoi, ad aggiungersi iscritte.