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È un sabato sera come tanti, un sabato di fine settembre, Federico Aldrovandi, uno studente diciottenne di Ferrara si reca a Bologna insieme ad alcuni amici per assistere ad un concerto per poi finire la serata in discoteca.
Alle prime ore della domenica, il 25 settembre 2005, Federico torna a Ferrara, purtroppo, però, non rientrerà più a casa.
Intorno alle 6 del mattino, sta tornando a casa a piedi, da solo, attraversando il quartiere dove vive.
Ha bevuto ed ha assunto una piccola quantità di sostanze stupefacenti, sembra agitato e confuso e qualcuno chiama la polizia segnalando la sua presenza.
Sul luogo interviene una pattuglia composta da Enzo Pontani, Monica Segatto, Paolo Forlani e Luca Pollastri.
Le circostanze esatte dell’incontro tra Federico e gli agenti sono state ricostruite solo in parte durante il processo.
Quello che è chiaro è che si è sviluppata una colluttazione molto violenta tra i quattro poliziotti e Federico.
Gli agenti cercano di immobilizzarlo e lo colpiscono ripetutamente con manganelli. Federico viene bloccato a terra, in posizione prona, e gli vengono messe le manette.
Durante questa fase, perde conoscenza e smette di respirare.
Un’ambulanza arriva sul posto alle 6:10, ma senza medico a bordo. Quando i soccorritori arrivano, Federico è già in uno stato di incoscienza e non da segni di vita.
Inizialmente, le forze dell’ordine affermano che Federico sia deceduto per un malore dovuto a un possibile mix di sostanze stupefacenti.
Tuttavia, la famiglia Aldrovandi non accetta questa versione e chiede un’indagine più approfondita.
I passaggi principali che portano alla scoperta della verità
Versione iniziale della polizia:
Dopo la morte di Federico, il rapporto iniziale delle forze dell’ordine parla di un arresto difficile e ipotizza che Federico sia morto per overdose o per una condizione preesistente. Tuttavia, questa versione solleva subito dubbi.
Autopsia:
Un primo esame autoptico non fornisce subito una chiara spiegazione della morte, ma l’insistenza della famiglia posta a ulteriori analisi.
L’esame medico-legale successivo rivela che Federico è morto a causa di violenze fisiche subite durante l’intervento della polizia. Vengono riscontrate numerose lesioni su varie parti del corpo, specialmente sul viso, sul torace e sugli arti che indicano che è stato colpito ripetutamente.
Due manganelli si sono rotti a causa della forza con cui è stato colpito.
Federico è morto per asfissia traumatica, causata dalla pressione esercitata sul suo torace mentre è immobilizzato. Oltre alle fratture e alle ferite estese, l’autopsia non rileva tracce sufficienti di droga o alcol tali da causare la morte.
Testimoni oculari:
Alcuni residenti della zona testimoniano di aver sentito urla e rumori sospetti quella mattina, e queste testimonianze sono cruciali per costruire un quadro più dettagliato degli eventi.
Alcuni di loro raccontano di aver sentito grida di aiuto e rumori di lotta provenire dalla strada. Una donna chiama i soccorsi segnalando una situazione sospetta: i poliziotti sopra Federico mentre lo trattengono violentemente.
Registrazioni e omissioni:
Emergono discrepanze nelle comunicazioni radio della polizia ed è evidente che alcuni elementi sono stati omessi o modificati. C’è stata una mancanza di trasparenza nell’immediato post-mortem e tentativi di coprire la gravità della situazione.
Sospetti di depistaggio:
Durante le indagini e il processo, si sollevano accuse di depistaggio e occultamento di informazioni da parte di alcuni funzionari della polizia, tra cui il vice-questore Fabio Graziosi, funzionario della Questura di Ferrara.
Viene criticato per aver sostenuto inizialmente una versione dei fatti che minimizzava la responsabilità degli agenti, ipotizzando che la morte di Aldrovandi fosse legata all’uso di droghe piuttosto che alle violenze subite.
Graziosi è stato anche coinvolto nella preparazione di comunicati ufficiali della polizia che non rispecchiano pienamente la gravità della situazione e forniscono una versione dei fatti in cui si cerca di giustificare l’operato degli agenti.
La determinazione della famiglia:
Patrizia Moretti, madre di Federico, rifiuta di accettare la versione ufficiale e, con il sostegno di avvocati e attivisti, spinge per ulteriori indagini e maggiore trasparenza.
In particolare, pubblica una foto del corpo del figlio pieno di lividi, che scatena indignazione pubblica e rinnova l’interesse mediatico per il caso.
Processo e condanne:
Dopo anni di battaglie legali, nel 2009, finalmente, le prove raccolte portano al processo dei quattro agenti coinvolti, i quali sono stati infine condannati per omicidio colposo.
E’ stato dimostrato che la morte di Federico è stata causata dall’uso eccessivo della forza durante l’arresto. Le pene inflitte sono di tre anni e sei mesi di reclusione, ma grazie all’indulto, scontano solo pochi mesi di carcere.
La sentenza riconosce che gli agenti hanno applicato un uso eccessivo della forza, senza le precauzioni necessarie per salvaguardare la vita di Aldrovandi.
Nel 2013, invece, Fabio Graziosi viene condannato in primo grado a 8 mesi di reclusione per falso ideologico in atto pubblico, in quanto accusato di aver contribuito a falsificare o alterare informazioni relative all’intervento e alla morte di Federico Aldrovandi. La sentenza di condanna nei suoi confronti è stata confermata anche in appello.
Il coinvolgimento del vicequestore e di altri funzionari ha ulteriormente sollevato interrogativi sulla trasparenza e la responsabilità all’interno delle forze dell’ordine italiane, aggiungendo ulteriori strati di complessità e controversia a un caso già molto delicato.
Ogni anno il caso viene ricordato da associazioni e movimenti per i diritti umani come un esempio di mancata giustizia completa, nonostante le condanne, di lotta contro gli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine e di necessità di riforma nel modo in cui viene gestita la sicurezza pubblica.
