Filippo Turetta, depositate le motivazioni dell’ergastolo

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Ergastolo a Filippo Turetta: Le motivazioni della sentenza svelano una violenza patriarcale e premeditata
La Corte d’Assise di Venezia ha depositato oggi le motivazioni della sentenza che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023.
Un documento di oltre 150 pagine che racconta una verità agghiacciante: quella di un femminicidio premeditato, figlio di una cultura del possesso e dell’incapacità di accettare la libertà altrui.
Secondo i giudici, Turetta ha agito con “efferatezza” e “risolutezza”, infliggendo alla vittima ben 75 coltellate in un’aggressione durata venti minuti.
Tuttavia, la Corte ha escluso l’aggravante della crudeltà, affermando che il numero dei colpi non dimostra un’intenzione di causare sofferenze gratuite, ma è piuttosto riconducibile alla goffaggine e inesperienza dell’assassino nel portare a termine l’omicidio.
La motivazione più forte, però, è quella legata alla dinamica relazionale tra i due: Turetta non sopportava l’autonomia e la libertà di Giulia.
La Corte ha parlato di “abietti motivi di arcaica sopraffazione” e di una “intolleranza per la libertà di autodeterminazione femminile”, ponendo l’accento su come Turetta vivesse la fine della relazione e le scelte di vita di Giulia come un affronto alla propria identità e al proprio controllo.
I giudici hanno inoltre sottolineato la freddezza dell’imputato dopo l’omicidio: Turetta ha occultato il corpo della ragazza e tentato di fuggire, mantenendo piena lucidità.
Un comportamento che ha rafforzato la tesi della premeditazione, già supportata da messaggi, comportamenti precedenti e dalla dinamica stessa dell’omicidio.
Nonostante la gravità del fatto, la Corte ha escluso l’aggravante dello stalking, ritenendo che i comportamenti precedenti all’omicidio, sebbene ossessivi, non costituissero un vero e proprio atto persecutorio. La stessa sorte è toccata all’aggravante della crudeltà, ritenuta non applicabile per le ragioni già citate.
Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha profondamente colpito l’opinione pubblica italiana, diventando un simbolo della violenza di genere e innescando un ampio dibattito sul patriarcato, l’educazione affettiva e il ruolo delle istituzioni nella prevenzione.
Le motivazioni della sentenza confermano che non si è trattato di un gesto isolato o di un raptus, ma di un atto consapevole, maturato all’interno di una cultura tossica.
La giustizia ha fatto, in questo caso, il suo corso, ma la società ha ancora molto da fare per garantire alle donne il diritto di vivere libere, senza paura.