Luca Carboni, il ritorno dopo la malattia “Non ho mai pianto ma succederà presto”
L’ultima apparizione di Luca Carboni risale al 13 aprile 2022: un post di Instagram con quelli che sembrano essere i versi di una canzone “Sto pensando alla vita, sto pensando all’amore”.
Poi più nulla, per oltre due anni fino ad oggi, quando a Walter Veltroni, sul Corriere della Sera racconta gli ultimi due anni della sua vita e, leggendo, diamo un senso a quell’ultimo suo post.
Non è un’intervista classica: Luca è un fiume in piena e si racconta senza reticenze.
“Stavo registrando un album nuovo, avevo già definito dieci pezzi tra cui il singolo Il pallone e un altro che sarebbe dovuto uscire quell’estate, una canzone, a cui tengo moltissimo, che avevo scritto nel 1986 per proporla a Vasco (Rossi ndr) e che poi avevo deciso di incidere personalmente: Rimini d’estate. Avevo previsto l’album e poi il tour. Invece, in pochi minuti, tutto è cambiato. Dalla scelta dei brani sono passato alla scelta delle terapie per sopravvivere. Il tumore era grande, difficile da operare”.
Luca è sempre stato estremamente riservato, ecco perché solo ora, dopo tanto tempo, ha deciso di raccontare la sua esperienza con la malattia
“Viviamo in un mondo in cui tutto è comunicato, sempre. Io invece ho seguito il mio istinto, il mio carattere. Mi sono messo da parte, ho staccato ogni contatto con i social, mi sono concentrato su quello che mi stava succedendo. A marzo del 2022 mi è stato diagnosticato un tumore al polmone. Un po’ di tosse che non passava, la decisione di fare una lastra. Uno choc. Sono rimasto senza parole, quella malattia sta nella nostra vita, ma pensi che a te non toccherà mai. Improvvisamente tutto è cambiato.
Sono sempre stato, per scelta, agli angoli della vita. Non sono mai stato un protagonista, uno di quelli che voi a Roma chiamate “caciaroni”. Da ragazzino dicevo: “Non cerco il divertimento, cerco la felicità”. Quando sono usciti i primi dischi i critici osservarono che era assurda tanta malinconia, nei rombanti anni ottanta. Nel 1984 io scrissi “Ci stiamo sbagliando” perché sentivo che in parte quell’euforia era effimera, edonistica, in fondo vuota.”
La “guarigione” dopo le cure invasive e l’intervento
“Dopo due anni posso dire di essere tecnicamente guarito anche se, con questo tipo di malattia, questa parola ha un significato fragile. Questa esperienza mi ha messo in contatto con tante persone. Ho frequentato oncologia, ho vissuto le storie di tanti malati. Il tumore non è un’esperienza individuale, ma collettiva.
Non puoi sentirti guarito se non è guarito l’altro, la persona che avevi a fianco mentre facevi le flebo. In questi anni ho pregato per me, ma anche per chi condivideva il mio stesso percorso. Come un mio amico dell’isola d’Elba, che ha scoperto il mio stesso male ma non ce l’ha fatta”.
“Ho visto tante vite spezzate troppo presto e in questi anni ho pensato che non avevo ragioni per sentirmi in credito con la vita. Mi è dispiaciuto non spiegare la ragione del mio sparire, del mio recidere ogni rapporto con l’esterno. Sono stato due anni a combattere con questo ospite inatteso e pericoloso. Ogni giorno volevo fare un passo avanti. Il destino non è solo fato, ma il prodotto, anche, della nostra volontà, della nostra energia. Io volevo vivere e volevo sentirmi, un giorno, “guarito””.
Il ritorno alla normalità
“Il mio rientro nel mondo avverrà a novembre nella mia Bologna con una mostra, curata da Luca Beatrice e prodotta da Elastica, con i quadri, i disegni, lo story board del primo video che ho fatto e i block notes sui quali ho gli appunti di ogni mio album. Coinciderà con i quarant’anni, mamma mia, dal mio primo disco. Musica nuova non ne ho scritta, ma per la prima volta, dipingendo, ho usato gli audiolibri. Ho ascoltato tutte le opere di Natalia Ginzburg, di Grazia Deledda, del mio adorato Simenon, ho “riletto” i “Promessi sposi”. E così mi sono venuti degli spunti per testi possibili e anche una musica, per una canzone. Per adesso sono disordine che però, ora che sto bene, posso ricomporre.
La mia vita si era slegata, aveva perso la certezza del tempo, la luminosità della prospettiva. Ora posso ricomporla e comincerò a farlo con le parole e le note. Non ti sembri paradossale, ma la malattia, sovrastando ogni impegno, mi ha dato una sensazione di libertà. Anche creativa. Non avevo scadenze, vincoli. Non dovevo rendere conto di lentezze e ritardi a nessuno. Ora ho voglia di riaprire la porta della mia vita, di ritrovare le persone.
Dopo la mostra rimetterò mano alle canzoni che stavo registrando quando mi hanno scoperto il tumore, ne aggiungerò altre e poi forse farò un tour. L’ultimo è stato nel 2019, ho bisogno di ritrovare ciò che insieme ai paesaggi, più mi ha dato la forza di contrastare la malattia: l’incontro con gli altri”.
La gratitudine per Lucio Dalla
“In fondo io sono figlio di una generosità e di una curiosità, quella di Lucio Dalla. Avevo venti anni e mi ero convinto che, per arrivare agli altri, più che mandare audiocassette che nessuno avrebbe ascoltato, fosse più efficace l’impatto della pagina scritta. Così misi i miei testi in una busta per Ron e la consegnai a Vito, il titolare dell’osteria di Bologna dove allora andavano tutti i cantanti che mi piacevano.
Quella sera a un tavolo c’erano Lucio e gli Stadio che discutevano dei testi del primo album del gruppo. Io mi fermai a guardarli, dalla vetrina del ristorante. Vidi Lucio che prese la busta, la aprì, cominciò a leggere e poi distribuì i fogli agli altri. Sentii che disse “Cazzo, belli”. Io avevo messo il mio numero di telefono di casa sulla busta e vidi Lucio che si alzò e prese l’apparecchio del ristorante. Non sapevo cosa fare, ma mi feci coraggio e rientrai proprio mentre mia sorella gli stava dicendo che io dovevo essere lì. Gli battei sulla spalla e lui, divertito, mi squadrò sibilando “Pensavo fossi un adulto…”.
Mi fecero sedere al loro tavolo, a me sembrava di sognare.
Poi andai in studio e, su indicazione di Lucio, feci sentire agli Stadio come avrei cantato dei brani che avevo scritto per loro. Dalla disse al tecnico di registrarli e poi me li fece ascoltare dalle casse dello studio. Io la mia voce, al massimo, l’avevo sentita nel walkman… ”Sembri un po’ De Gregori” mi disse e per me, che ho sempre amato Francesco, era un complimento immenso. Mi vergognavo però a cantare, non ho mai avuto la sfrontatezza del frontman, non era il mio approccio alla vita. Non amo i vincenti, perché non mi piace la confidenza con il successo, la convinzione di essere superiori ad altri. Ho venduto, nel tempo, cinque milioni di dischi ma ho sempre pensato che, in fondo, fosse un incidente di percorso”.
Il ritorno ai live
“Quando tornerò sul palco, la prima canzone che farò sarà “Primavera”. È la canzone di una stagione attesa, che torna ogni volta diversa. Mi piacerebbe che la prima data fosse a Bologna, la mia città. Bologna non è solo una città, è un modo di essere, la tua educazione, i tuoi tempi, il tuo modo di guardare il mondo. Bologna è una regola ma, soprattutto, è un’occasione.
Mi chiedi se ho mai pianto, in questi due anni. No, mai. Ma succederà presto. E sarò felice di farlo”.