Uno studio pubblicato di recente sulla rivista Royal Society Open Science ha aperto un nuovo e sorprendente capitolo nella storia dei manoscritti medievali: decine di volumi, a lungo ritenuti rilegati con pelli di animali locali, erano in realtà rivestiti con pelle di foca trasportata dalle fredde acque settentrionali dell’Atlantico.
La collaborazione tra un team internazionale di archeologi, storici ed esperti di bioinformatica ha confrontato 32 libri di monasteri cistercensi francesi, inglesi e belgi, in particolare quelli della rinomata Abbazia di Clairvaux, nella provincia francese della Champagne. Utilizzando tecniche scientifiche avanzate come la zooarcheologia elettrostatica mediante spettrometria di massa (eZooMS) e l’analisi del DNA antico, gli scienziati hanno scoperto che alcuni dei cosiddetti “libri pelosi” – così chiamati per le fibre di pelo visibili sui loro involucri esterni, o camicie – erano rilegati con la pelle delle foche.
L’uso della pelle di foca sulle copertine dei manoscritti non era del tutto sconosciuto in Scandinavia e Irlanda. Tuttavia, la sua diffusa presenza nei monasteri francesi dell’entroterra ha colto di sorpresa i ricercatori.
La maggior parte dei testi medievali era scritta su pergamena ricavata dalla pelle di animali terrestri come vitelli o pecore. Si riteneva che le copertine, tradizionalmente considerate di materiali locali come cinghiale o cervo, riflettessero la disponibilità regionale. Ma questo nuovo studio rivela che le camicie che avvolgevano molti libri del XII e XIII secolo erano in realtà realizzate con sigilli, in particolare foche comuni, foche della Groenlandia e foche barbute. Si è persino ipotizzato che la loro origine geografica risalga a luoghi lontani come Scandinavia, Danimarca, Scozia, Islanda e Groenlandia.
Questa scoperta ha rivoluzionato la storia del commercio medievale. Tutti i libri rilegati in pelle di foca, affermano i ricercatori, provenivano da abbazie situate lungo corridoi commerciali medievali, come le rotte commerciali norrene che si estendevano in profondità nell’Europa continentale. Le rotte non trasportavano solo merci come avorio e pelli di tricheco, ma forse anche pelle di foca, forse commerciata dai discendenti dei Vichinghi.

È interessante notare che i monaci cistercensi che utilizzavano queste legature in pelle di foca potrebbero non essere nemmeno a conoscenza del tipo di animale che stavano utilizzando. I sigilli non erano tipicamente raffigurati nelle opere d’arte medievali europee e, durante questo periodo, la lingua francese non aveva un termine per “sigillo”. Inoltre, l’approvvigionamento di pelli di foca non è mai menzionato nei documenti dell’Abbazia di Clairvaux. Questa è la prova che le pelli arrivavano indirettamente attraverso ampie reti commerciali.
Sebbene la pelle di foca sia stata probabilmente scelta per la sua durevolezza e resistenza all’acqua, anche l’estetica potrebbe aver giocato un ruolo importante. L’ordine cistercense, che si separò dai Benedettini nel 1098, prediligeva tessuti bianchi o di colore chiaro rispetto al marrone dei Benedettini. Sebbene le pelli di foca siano ora brunite dal tempo, probabilmente erano di un colore pallido e argenteo al momento del primo utilizzo, un colore più consono ai gusti dei Cistercensi.
Cistercensi inseriti in una rete commerciale globale
Lo studio, in definitiva, mette in discussione ipotesi consolidate sulla produzione di manoscritti medievali. Come hanno scritto i ricercatori nel loro articolo, “Contrariamente all’ipotesi prevalente che i libri fossero realizzati con materiali di provenienza locale, sembra che i Cistercensi fossero profondamente inseriti in una rete commerciale globale”. L’integrazione delle scienze biologiche nella ricerca storica non solo ha portato alla luce l’uso inaspettato della pelle di foca, ma ha anche evidenziato il legame dei monasteri con una rete economica di vasta portata che si estendeva dall’Artico all’Europa centrale.

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