Palermo, maxi-blitz antimafia, centinaia di arresti
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Una vasta operazione condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che ha coinvolto oltre 1.200 carabinieri, ha portato a un’importante azione di contrasto alla criminalità organizzata siciliana.
L’inchiesta ha portato all’arresto di 181 persone, tra cui boss, “colonnelli”, uomini d’onore ed estortori, operanti in vari mandamenti della città di Palermo e della provincia.
Le indagini hanno rivelato un sistema di organizzazione dei clan mafiosi, i loro affari illeciti e l’ennesimo tentativo di Cosa Nostra di ricostruire la Cupola provinciale, nonostante la dura repressione che ha portato, negli ultimi anni, alla carcerazione di migliaia di persone.
I mandamenti coinvolti e le accuse
L’indagine ha interessato alcuni dei principali mandamenti mafiosi, tra cui Santa Maria di Gesù, Porta Nuova, San Lorenzo, Bagheria, Terrasini, Pagliarelli e Carini. Oltre agli 181 arresti, sono state emesse due misure di presentazione alla polizia giudiziaria.
Gli arrestati sono accusati di associazione mafiosa, tentato omicidio, estorsioni, sia consumate che tentate, tutte aggravate dal metodo mafioso, traffico di droga e favoreggiamento personale. Inoltre, le accuse includono reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona e l’esercizio abusivo del gioco d’azzardo.
La nuova organizzazione mafiosa: cellulari criptati in carcere
Un aspetto significativo emerso dalle indagini riguarda l’uso di cellulari criptati da parte dei boss in carcere. Questi dispositivi, introdotti illegalmente nelle celle, venivano utilizzati dai capimafia per rimanere in contatto con l’esterno, senza temere di essere intercettati.
I cellulari criptati erano destinati esclusivamente a ricevere chiamate, operando come telefoni-citofoni, il che rendeva molto difficile monitorare le comunicazioni. Grazie a questo sistema, i boss riuscivano a gestire il traffico di stupefacenti e a organizzare riunioni cruciali per la riorganizzazione della commissione provinciale.
Nonostante l’apparente sicurezza, questi dispositivi non sono riusciti a impedire l’intercettazione delle comunicazioni da parte dei carabinieri. Alcuni capimafia, infatti, erano talmente sicuri di non essere sorvegliati da non prendere alcuna precauzione durante le riunioni online, rivelando dettagli cruciali, come i nomi dei capi dei mandamenti e i nuovi organigrammi mafiosi.
La fuga dei boss: pronti a scappare per sfuggire alla giustizia
Alcuni degli arrestati erano già pronti a fuggire, temendo di essere arrestati. Un caso emblematico riguarda il cognato del boss Nunzio Serio, che, dopo aver scoperto di essere stato intercettato tramite microspie sulla Smart della moglie, ha deciso di allontanarsi da Palermo e rifugiarsi al nord. “Siamo tutti bombardati”, affermava.
Anche un altro capomafia, dopo essere sfuggito a un inseguimento da parte della Finanza, aveva pianificato, insieme alla sua famiglia, di fuggire all’estero per proteggere il proprio patrimonio, accumulato grazie al gioco d’azzardo online. “Me ne devo andare da qua… devo cambiare la residenza… me ne vado…”, diceva, rivelando il suo desiderio di proteggere la sua famiglia e la sua ricchezza, esprimendo preoccupazione per la sicurezza e la difficoltà di rimanere in Italia.
La lotta continua contro la mafia
Questa operazione evidenzia come, nonostante la continua repressione e le operazioni delle forze dell’ordine, i clan mafiosi riescano a mantenere una rete di comunicazioni clandestine e a progettare nuove strategie per riprendersi il controllo del territorio.
La lotta alla mafia continua, e queste indagini mostrano l’importanza di un controllo costante e della collaborazione tra le forze dell’ordine per smascherare le operazioni criminali, anche quando sembrano avere tecnologie avanzate per sfuggire alla giustizia.
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