Rolling Stones, Sticky Fingers, il disco che spogliò il rock

#image_title
Il 23 aprile del 1971, i Rolling Stones pubblicarono Sticky Fingers, un album che non fu solo musica, ma un evento culturale.
Con una copertina disegnata da Andy Warhol – un primo piano su un “pacco” maschile in jeans, completo di zip vera – l’album entrò subito nella storia per la sua audacia visiva e sonora.
Non era solo un disco: era un gesto provocatorio, sensuale e profondamente rock.
Questo fu il primo album pubblicato dalla neonata etichetta Rolling Stones Records, segnando l’inizio di una nuova era per la band.
Ma Sticky Fingers è molto più che un nuovo inizio amministrativo: è un’opera in cui gli Stones ridefinirono la loro identità.
Musicalmente, il disco spazia con naturalezza tra blues sudista (You Gotta Move), country malinconico (Wild Horses), e riff rock immortali come quello di Brown Sugar.
Brown Sugar fu da subito oggetto di polemiche per il suo testo, che tocca temi di schiavitù, sesso e razzismo con un’ironia cupa e volutamente ambigua.
Ma dietro la provocazione, c’è un brano potente e irresistibile, capace di incarnare lo spirito sfrontato della band.
La ballata Sway, con un Mick Taylor in stato di grazia alla chitarra, e la struggente Moonlight Mile, chiudono l’album con un’introspezione quasi inaspettata.
Durante le registrazioni, gli Stones erano profondamente immersi in un’epoca di eccessi: droga, alcol, relazioni tormentate.
Ma è proprio questo mix pericoloso che ha contribuito a rendere Sticky Fingers così crudo e autentico. Non è un album che cerca di piacere a tutti. È sporco, sensuale, e libero.
L’impatto culturale dell’album fu immenso: Sticky Fingers definì il sound e l’attitudine degli anni ’70, ponendo i Rolling Stones come antieroi del rock. Un disco che, a oltre mezzo secolo di distanza, continua a sedurre e a scandalizzare.
La tracklist di Sticky Fingers
1. Brown Sugar
Un’apertura esplosiva. Brown Sugar è forse il brano più controverso degli Stones. Racconta, con un groove irresistibile, una storia carica di riferimenti alla schiavitù, al sesso interrazziale e alla dipendenza. Nonostante (o forse proprio grazie a) la sua natura provocatoria, è diventato uno dei pezzi più iconici della band. La chitarra di Keith Richards e il sassofono di Bobby Keys brillano su una base ritmica tagliente.
2. Sway
Un pezzo dolente e sensuale, con un’atmosfera da fine notte. Mick Taylor suona un assolo devastante, carico di blues e malinconia, mentre Jagger canta in modo meno teatrale e più introspettivo del solito. Sway segna un cambio di tono rispetto alla traccia precedente, mostrando il lato più emotivo degli Stones.
3. Wild Horses
Una delle ballate più amate della band, scritta da Jagger e Richards con forti influenze country. Si dice che sia stata ispirata sia dalla relazione di Jagger con Marianne Faithfull sia dalla lontananza di Richards dal figlio. Il testo, struggente e poetico, è accompagnato da un arrangiamento dolce e minimale, che ne amplifica l’intensità.
4. Can’t You Hear Me Knocking
Sette minuti e mezzo di pura improvvisazione. Parte come un brano rock duro e sporco, e si trasforma in una jam jazz-funk con assoli mozzafiato di sax e chitarra. È un esempio perfetto della libertà stilistica che permea l’intero album. La seconda parte, strumentale, è una delle più apprezzate dai fan.
5. You Gotta Move
Tradizionale spiritual blues, portato al pubblico moderno con il tocco inconfondibile degli Stones. È una cover di Fred McDowell, registrata in modo quasi live. Minimalista ma potente, mostra il rispetto della band per le radici della musica americana.
6. Bitch
Torna la carica rock. Bitch è un brano dinamico, con fiati esplosivi e una struttura ritmica perfetta per i concerti. Il testo, come spesso accade, gioca con la sessualità e il potere, mentre la band si diverte a spingere sull’acceleratore.
7. I Got The Blues
Un brano dolente, in stile soul anni ’60, quasi un omaggio a Otis Redding. L’arrangiamento con organo e fiati, unito all’interpretazione vocale di Jagger, crea un’atmosfera malinconica e intensa. Non è una traccia tra le più celebri, ma è una perla nascosta del disco.
8. Sister Morphine
Scritto con Marianne Faithfull (inizialmente accreditata, poi esclusa e infine reinserita), è un brano cupissimo, quasi psichedelico. Racconta una discesa nell’eroina, con chitarre inquietanti e un’atmosfera spettrale. Fu originariamente pubblicato come B-side nel 1969, ma trova la sua vera casa in questo album.
9. Dead Flowers
Un altro esempio della fascinazione country degli Stones, influenzata da Gram Parsons. Jagger canta con un’ironia amara e la melodia, apparentemente allegra, contrasta con il testo disilluso. È una canzone che ha ispirato innumerevoli cover, da Townes Van Zandt a Willie Nelson.
10. Moonlight Mile
Il gran finale. Una ballata epica, dolce e notturna, scritta in gran parte da Mick Taylor. Il testo riflette la stanchezza della vita on the road e un senso di isolamento. Gli archi orchestrali e la voce di Jagger, più dolce che mai, chiudono l’album con un tocco di bellezza sognante e malinconica.
Playlist – Sticky Vibes: Rock, Blues & Soul
Una playlist pensata per accompagnarti in un viaggio sonoro che parte da Sticky Fingers e si espande verso tutto ciò che gli ruota attorno: influenze, eredità e affinità.
- Rolling Stones – Brown Sugar
L’inizio di tutto: un mix incendiario di groove e scandalo. - The Black Keys – Gold on the Ceiling
Il suono moderno che riprende il fuzz e la sporcizia rock degli Stones. - Otis Redding – I’ve Been Loving You Too Long
Soul puro, l’anima dietro I Got the Blues. - Led Zeppelin – Since I’ve Been Loving You
Intensità blues al massimo livello: emozioni sature, chitarre che graffiano. - Gram Parsons – Return of the Grievous Angel
Il country malinconico che Jagger adorava, riflesso in Dead Flowers. - The Doors – Riders on the Storm
Atmosfere cupe, da viaggio interiore. Un cugino psichedelico di Sister Morphine. - Rolling Stones – Moonlight Mile
Chiusura perfetta, come un tramonto lungo un’autostrada vuota.
Ascoltala in sequenza, luci basse e drink in mano.
Timeline – Sticky Fingers: Genesi di un Capolavoro
1969
- Brian Jones muore. Mick Taylor entra, portando un tocco più tecnico e raffinato.
- Marianne Faithfull scrive con Jagger Sister Morphine, durante una fase autodistruttiva.
- Prime bozze di Wild Horses e Brown Sugar nascono in tour.
1970
- Gli Stones registrano a Muscle Shoals Sound Studio in Alabama: un luogo sacro del soul e del southern rock.
- La band fonda la Rolling Stones Records, cercando più libertà artistica.
- Andy Warhol viene incaricato per la copertina: propone una foto audace, con cerniera apribile. La fabbricazione è complicata (danneggia i vinili!), ma il risultato è iconico.
1971
- Sticky Fingers esce il 23 aprile.
- L’album scala le classifiche di tutto il mondo.
- Parte il tour mondiale, con scenografie curate e l’uso pionieristico del logo della “linguaccia” disegnata da John Pasche.
Se Ami Sticky Fingers, Devi Ascoltare Anche…
- Exile on Main St. – Rolling Stones (1972)
Lo “Sticky Fingers” sotto steroidi. Registrato in una villa francese in disordine totale, è un disco doppio, più sporco, più soul, più gospel. - Let It Bleed – Rolling Stones (1969)
Precede Sticky Fingers e ne prepara il terreno. Contiene Gimme Shelter, You Can’t Always Get What You Want, e quel senso di fine anni ’60 che sfuma nel cinismo degli anni ’70. - All Things Must Pass – George Harrison (1970)
Spiritualità rock e orchestrazioni raffinate. Harrison prende le distanze dai Beatles e tira fuori un capolavoro. È l’altra faccia della libertà post-band. - Layla and Other Assorted Love Songs – Derek and the Dominos (1970)
Eric Clapton e Duane Allman firmano uno degli album blues-rock più emozionanti di sempre. Passione, dolore, e riff leggendari. - The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle – Bruce Springsteen (1973)
Springsteen racconta la città, i sogni e le sconfitte con lo stesso cuore notturno di Moonlight Mile.